S’alza un vento amico
mi pare di conoscerlo.
Non graffia le reni spezzate e si fa contemplare
indosso un vestito umile di lapislazzuli
seduto in riva al mare
sporco d’umana consuetudine…
il mare.
Offre ai bagnanti frutta fresca
servita alla maniera degli dei
in coppe auree che invitano a convivi messianici.
Sghignazza fuori e medita dentro
la fine dell’estate
così lontana dall’agire comune
eppure distante un battito di ciglia,
come l’ultima volta
e quella prima ancora.
Luglio in città,
gli amanti d’una notte di luna piena
di ritorno ai propri anonimi offici
dopo essersi amati e non trovati
affogano inermi e gaudenti nella prosa della vita,
così distante la poesia.
Le vie del centro ad ora di pranzo
ritrovano un silenzio edeniano,
il sole irradia l’asfalto quasi liquefatto,
l’afa annichilisce i suicidi teatrali
rimandati non a data da destinarsi
ma solo a tarda sera
quando il fiume che taglia in due la città
nel buio fitto che attraversa ogni cosa
sarà chissà beneficiario d’una lieve brezza,
piaccia così al vento dell’acqua amico.
E allora le onde,
ingiallite di Dash ammorbidente
solidale col piscio della malata gente,
non potranno far manifesto il proprio cuore.
Sarà nero nel mondo nero d’un fiume nero
cui consegnare corpi neri d’anime affumicate.
E tutt’intorno brindisi di mezzanotte,
cin-cin al rettile ingordo che mastica vita
volti indistinguibili d’una giostra che non si ferma mai,
dramma iscritto nelle spoglie amiche della commedia
di cui ciascun dev’ergersi a macchina attoriale.
Aquiloni piangenti ritrovano spinta nel cielo,
il tramonto del dover essere.